sabato 13 febbraio 2010

Tu chiamami se vuoi...

Mi chiamano tristezza, quando il buio del cielo tira via tutte le stelle ad una ad una e la notte sembra essere l’unico mantello in grado di coprirmi.
Mi chiamano solitudine, quando l’ultimo granello di sabbia che scivola via dal pugno stretto di una mano, cade su una lastra di vetro ghiacciata. E rimane lì.
Mi chiamano paura, quando il vento spoglia tutti i rami di tutti gli alberi…e non soffia, anche se spazza via ogni frammento di materia.
Mi chiamano felicità, quando il cielo non è né azzurro, né grigio, né blu, né nero, né rosso, ma è proprio come io lo voglio.
Mi chiamano sorpresa, quando il respiro toglie il mio stesso respiro e la meraviglia diventa lo sguardo attraverso il quale scruto il mondo intero.
Mi chiamano rabbia, quando l’aria che respiro diventa tornado che distrugge l’essenza stessa della vita.
Mi chiamano noia, quando vedo, ascolto e percepisco solo vuoto, che poi riempio con altro vuoto, perché il vuoto sono diventata io.
Mi chiamano dolore, quando la spina di una rosa rossa ferisce la pelle, e ogni atomo del corpo sussurra all’anima di morire.
Mi chiamano timidezza, quando la gonna è troppo corta e le mie braccia troppo piccole per afferrarla e tirarla più giù.
Mi chiamano attesa, quando i rintocchi di un orologio superano in velocità i battiti del cuore, e le risposte che cerco restano solo e soltanto domande.
Tutti mi chiamano con i nomi più vari, ma io…mi chiamo EMOZIONE.
E’ la vita che spesso tira giù tutte le stelle del cielo, che non riesce a trattenere in un pugno tutti i granelli di sabbia, che spoglia i rami degli alberi, che dipinge il cielo al colore del mio desiderio, che mi toglie il respiro e mi distrugge, che mi fa male fino all’ultima goccia di sangue, che mi veste di vuoto senza riuscire a coprirmi quando voglio nascondermi, lasciandomi sola con le mie domande.
Sì, la vita spesso è una gonna troppo corta e quando il vento è freddo e soffia con prepotenza, scopri di non avere il tempo per cambiarti.
Oppure, non riesci a trovare il vestito adatto.
E rimani scoperta, nuda di te stessa.
A volte mi chiamano anche coraggio. Quando la mia pelle, seppur fragile e incolore, è il vestito che mi sta a pennello.
Io mi chiamo EMOZIONE, e c’è solo un motivo per cui sono venuta al mondo: per cambiare le vite degli altri, cambiando me stessa.

Erano in silenzio. Tutti scrivevano. O quasi.
“Ma perché bisogna scrivere sulle emozioni?” – sbottò un ragazzo qualche mese fa.
Smisero di scrivere. Io restai in silenzio, guardandoli tutti.
“Perché sono le emozioni che ci cambiano la vita” – rispose una ragazza.
Annuii e ripresero a scrivere. Lui mi guardò, ma dopo un po’ scrisse anche lui.
Cominciai a farlo anch’io, guardandoli ogni tanto nel silenzio dei loro scritti.
Così, nacque questo racconto.
I ragazzi si fanno e danno le domande e le risposte migliori, quelle che nascono dal silenzio e da un’emozione che spesso non riesce a venir fuori.
Ma esiste, e c’è sempre un tempo per raccontarla.
Trovalo anche tu.

mercoledì 10 febbraio 2010

Cronaca di una giornata senza materia grigia

Il buongiorno si vede dal mattino.

Anzi no, dalla sera prima.

Se alle ore 20:00 incontri la tua ex professoressa di Psicologia delle relazioni familiari e le dici: "buongiorno" e lei ti risponde con "buongiorno", pensi che forse c'è qualcosa che non va nel ritmo circadiano della vita degli psicologi.

Ma non ci fai caso, in fondo hai avuto una giornata difficile.

Se poi, undici ore dopo, per la seconda volta nel giro di un mese, metti il sale nel tuo latte al posto dello zucchero, ti chiedi se la materia grigia che alberga nella parte superiore del tuo corpo, esista ancora.

Ma oggi è una giornata importante...si laureano le tue amiche colleghe. E quindi il mattino è dolce lo stesso, anche senza zucchero.

Devi andare dal fioraio con la tua socia.

Arrivi prima di lei e cominci a congelarti osservando i fiori dalla vetrina.

Quando il congelamento sta per trasformarsi in ibernamento, lei arriva.

Mentre scrivi la Divina Commedia sui biglietti il fioraio confeziona al settimo cielo i bouquet, chiedendo: voi siete già laureate?

Risponde la mia socia: sì sì.

Tu pensi: ti è andata male che i nostri amici e parenti abbiano già fatto!

Uscite dal fioraio addobbate come due alberi di Natale e prendete l'autobus, incuranti della gente che vi osserva divertita.

Non possiamo mica metterci a spiegare il perchè del nostro addobbo!

Arrivate in facoltà e scorgete due ragazzi con un mazzo di volantini in mano.

Eccoci.

Mentre entrate, uno di loro si avvicina: signorina questo è per...

Hai un bouquet in una mano, la borsa a tracolla, una regalo nell'altra mano, nonchè i guanti che ti impediscono qualsiasi movimento sottile. E non hai neanche bevuto il latte con lo zucchero!

"Ma ti sembra il caso che io possa prendere il volantino?" - rispondi al tipo.

E mentre la tua socia ride, ti avvicini verso l'aula dove poche ore dopo brilleranno le stelle più belle.

Sei orgogliosa di loro e come al solito piangi. Ma è normale.

Nel pomeriggio hai un appuntamento insieme alla tua socia. Ma siete in anticipo ed è ora di pranzo.

"Dai prendiamo un panino in un posto che io conosco" - dice la tua socia.

Bene, ti fidi di lei.

Dopo pochi metri lo trovate. Ed entrate, è normale che entriate.

Dopo pochi secondi vi guardate in giro per poi, dopo un'occhiata a trecentosessanta gradi, vi ritrovate occhi negli occhi.

Tutti maschi che vi guardano.

Tutti eh, non si sbaglia.

E vi chiedete perchè vi guardano. Ok, voi siete donne e loro uomini, ma cosa c'entra?

"Ma sei sicura che questo non sia un posto per soli uomini?Ci guardano male!"- sussurri all'orecchio.

"Boh...in effetti è strano. Come lo facciamo il panino?" - risponde la tua socia.

Dopo i vari "come vuoi tu come voglio io come vuoi tu per me è uguale", si decide per prosciutto cotto.

Ma...poco prima di chiedere, optate anche per la mozzarella.

E dopo il "chiedi tu chiedo io chiedi tu per me è uguale", siccome dal fioraio hai parlato tu, parla lei.

"Lo sapete come si chiama questa?" - esordisce l'uomo dietro al bancone indicando la mozzarella.

Io sospiro. Oggi hanno proprio tutti voglia di parlare.

"Mah...sarà una mozzarella?!" - rispondi pensando "sono una donna, ma non una cretina".

"Si chiama Careggi signorina. Careggi. La fanno lì sa?" - continua lui.

Altro sospiro.

"No non lo sapevo".

Bene, adesso lo sai. La tua vita cambierà.

Mentre pagate profumatamente "due panini con careggi", l'amico dell'uomo chiede: ma c'è rimasto qualcuno a San Salvi, che ce lo portiamo?

Per la cronaca San Salvi è l'ex manicomio.

"Sì c'è qualcuno, ma ora c'è il dipartimento di psicologia" - affermi pensando "non che il tipo di soggetti al suo interno sia cambiato".

Nella fragorosa risata uscite dalla setta e rientrate nel gelo fiorentino.

E' ancora presto.

Vedete un supermercato ed entrate.

Meglio entrare che morire di freddo.

Ok, il supermercato è piccolo e voi non dovete comprare nulla. Che ci fate lì?

Appunto. Uscite, è meglio.

Individuate l'uscita mentre la tua socia cerca d'infilarsi tra una signora, il suo carrello di venti chilogrammi e la cassa posizionata obliquamente tra l'exit e lo scaffale...delle uova di Pasqua.

Sì, le uova di Pasqua.

E mentre pensi per quale assurdo motivo siete entrate lì dentro, sfiori con la più assoluta delicatezza lo scaffale delle uova di Pasqua, già sfiorato con ancor più delicatezza dalla signora davanti a te.

E succede il fattaccio.

Chiudi gli occhi in un frammento di secondi. Non vuoi guardare, preferisci immaginare. Ti piace tanto, lo sai.

Lo zucchero. Tutta colpa dello zucchero.

Le uova di Pasqua cadono a terra. Sì, proprio a terra.

La tua socia ride. Ridi anche tu perchè ormai il danno è compiuto.

Ride anche la signora.

Il commesso rimette a posto le uova e ti sorride. Almeno quello.

E' solo metà giornata e già ne hai combinate di tutte i colori.

Ma il resto scorre velocemente, passate davanti alla sede dell'appuntamento e andate oltre, sì andate oltre, anche se conoscete l'indirizzo a memoria.

"Ma siamo al 53" .

E voi avete già passato il 55. La materia griga scarseggia. Ne sei già più sicura.

Non è solo colpa dello zucchero. Te ne rendi conto?

La giornata finisce e arrivi a casa.

Prepari la cena, stavolta con gli ingredienti giusti.

Sorridi per un messaggio inaspettato.

Sorridi al ricordo della tua giornata.

Ma da domani starai più attenta a cosa metti nella tua tazza a colazione.

Oggi hai capito che è meglio non sbagliare!

"Se il mio cervello venisse trapiantato in un altro corpo, sarei ancora me stesso?"
Maret

domenica 7 febbraio 2010

La libertà sul pentagramma della vita

Ho sempre voluto imparare a suonare il pianoforte.
Ricordo che da piccola mi sedevo in un angolo e ascoltavo mio fratello strimpellare sui tasti, facendo in modo che lui non si accorgesse di me.
Sentir suonare qualcuno che pensa di essere solo, è uno spettacolo meraviglioso.
E’ come leggere uno scritto di qualcuno che decide di conservare il suo nero su bianco in un cassetto.
La meravigliosa solitudine di parole e di note.
Nero su bianco. E nero con bianco.
Non ho mai imparato a suonare il pianoforte, ma la musica l’ho sempre avuta dentro, forse perché facendo la ballerina mi sono abituata a coordinare qualsiasi passo ad una precisa nota.
E spesso, una precisa nota ad un labile ma inequivocabile pensiero.
Così come oggi.
Qualcuno suonava il pianoforte.
L’ho riconosciuto subito. Mozart.
Ricordi di un’età ormai lontana che si scontrano e si dissolvono nel qui ed ora.
La musica è fatta di accordi, di relazioni fra note.
Così come accade nella vita e nei rapporti reali.
Si è sempre in due, a prescindere dalla relazione.
Come quando suoni il pianoforte.
Se tocchi solo i tasti bianchi, la melodia c'è, ma non ha alterazioni, non ha ritmo.
Se tocchi solo i tasti neri, ci sono solo toni bassi o alti ma nessun suono piacevole.
Se invece li suoni entrambi, c'è una melodia armoniosa, perché c'è sia il suono e sia il suo ritmo...in bemolle o in diesis poi farà un'altra differenza.
Sfiorare quei tasti è come sfiorare il fondo del cuore di una persona.
Battere su quelli giusti, significa comprenderlo. Prendere con sé.
Costi quel che costi.
Le note del pianoforte si dileguano in un freddo mattino d’inverno.
Qualcuno ha smesso di suonare.
Sì…perché la musica porta sempre con sé la libertà di scegliere il tempo giusto.
Nel libro del Qoélet si racconta che c’è un tempo per ogni cosa, e spesso non ci rendiamo conto che Dio ci ha fatto il dono più grande che un uomo possa mai desiderare e soprattutto, averne bisogno.
La libertà.
Non c’è dono più grande del darla, più che del riceverla.
La libertà di donare ad ognuno il tempo di cui ha bisogno.
Il tempo per raccontarsi una bugia o una verità.
Il tempo per non dimenticarsi di guardare le stelle.
Il tempo per perdere il respiro meravigliandosi di tutte le cose belle che i giorni possono offrire.
Vorrei tanto imparare a suonare il pianoforte, soltanto per intonare il suono della libertà, per accordare il bianco con il nero ed inventare un arcobaleno di emozioni.
Ma provo solo a scrivere, e capisco che è la libertà che viene a cercarti quando scopri di aver bisogno di donarla agli altri.
C’è un tempo per imparare a suonare il pianoforte anche senza battere sul nero e il bianco di una tastiera: ed è in questo tempo, che intoni la melodia più bella.
Composta e diretta nei tuoi giorni migliori: quelli in cui scopri che basta poco per essere felici, perché conservi dentro di te la libertà che hai donato senza rivolerla mai più indietro.
Qualcuno ha ricominciato a suonare.
Io ho composto la mia sinfonia…ora, tocca a te.