sabato 26 settembre 2009

Quando sarò capace di accettare che sono capace di amare...


"Quando sarò capace d'amare, probabilmente non avrò bisogno di assassinare in segreto mio padre né di far l'amore con mia madre in sogno.


Quando sarò capace d'amare, con la mia donna non avrò nemmeno la prepotenza e la fragilità di un uomo bambino.


Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che ci sia davvero, che non affolli la mia esistenza ma non mi stia lontana neanche col pensiero.


Vorrò una donna che se io accarezzo una poltrona, un libro o una rosal ei avrebbe voglia di essere solo quella cosa.


Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che non cambi mai, ma dalle grandi alle piccole cose tutto avrà un senso perché esiste lei.


Potrò guardare dentro al suo cuore e avvicinarmi al suo mistero, non come quando io ragiono ma come quando respiro.


Quando sarò capace d'amare farò l'amore come mi viene senza la smania di dimostrare senza chiedere mai se siamo stati bene.


E nel silenzio delle notti con gli occhi stanchi e l'animo gioioso percepire che anche il sonno è vita e non riposo.


Quando sarò capace d'amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere, un amore senza sensi di colpa, senza alcun rimorso, egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso.


Senza cattive o buone azioni, senza altre strane deviazioni che se anche il fiume le potesse avere andrebbe sempre al mare.


Così vorrei amare."

Giorgio Gaber

Ieri sera mi sono ritrovata tra le mani il testo di questa canzone.
L’ho trovata tra le pagine del mio libro di psichiatria…neanche ricordo quando la misi lì né perché.
L’ho riletta.
Non una, ma quattro volte.
La prima per percepirne la bellezza delle parole.
La seconda per sentirsi tagliare a fette l’anima.
La terza per farsi alcune domande.
La quarta per provare a rispondere.
“Quando sarò capace di amare…” farò questo, mi piacerebbe questo, vorrei questo, sarò, farò, senza essere così.
Ho provato a chiedermi “chi”, a parte Dio, sia davvero capace di amare.
Una madre.
Un padre.
Un fratello o una sorella.
Un amico.
Un fidanzato.
Ho provato a chiedermi se questa madre, questo padre, questo fratello o questa sorella, questo amico, questo fidanzato, prima di amare, si fossero chiesti: ma io ne sono capace?
Ho provato a chiedermi perché una madre dona sé stessa ai figli, perché un padre lavora giorno e notte per portare avanti una famiglia, perché un fratello o una sorella si aiutano l’uno con l’altra, perché un amico si sveglia anche alle due di notte per ascoltarti, perché un fidanzato sceglie proprio te.
Poi ho provato a chiedermi perché una madre uccide un figlio, perché un padre violenta una figlia, perché un fratello o una sorella non si rivolgono la parola, perché un amico c’è solo quando gli fai comodo, perché un fidanzato ti delude.
Chi è capace di amare?
Poi ho immaginato un neonato che ha appena visto la luce.
L’ho immaginato compiere i suoi primi passi. Dire la sua prima parola.
Indossare il suo primo grembiule.
Scrivere la sua prima pagina di quaderno.
Amare per la prima volta qualcuno.
“Quando sarò capace di amare?”
Forse mai. O forse ne sono sempre stata capace.
O forse, amare non è una capacità.
Forse è solo coraggio.
Forse è solo bisogno.
Forse è solo verità.
Forse è solo voglia.
Forse è solo speranza.
Ho provato a chiedermi perché si sceglie di amare qualcuno oppure no.
Ma fra tutte le risposte che mi sono data, in nessuna viveva la parola “capacità”.
Amare è un dono.
Amare è una scelta.
Amare è una volontà.
Amare è una prova che ogni giorno diamo a noi stessi e agli altri.
Tutti, in un modo o nell’altro, amiamo qualcosa o qualcuno.
Anche una madre che uccide un figlio.
Non lo ha fatto perché non è stata capace di amare, ma forse perché non ha scelto di amare neanche sé stessa.
“Così vorrei amare”.
Forse no…perchè così non faccio altro che difendermi dall'amore.
Forse perchè così non faccio altro che coccolare la paura e il desiderio, ma non il mio bisogno, di cui forse non conosco l'essenza.
Perchè forse...nel momento stesso in cui lo penso, lo desidero, lo voglio, lo scrivo…sto già amando.
Qualcosa o qualcuno.
Non importa.
L’amore è accettare chi abbiamo accettato nella nostra vita.
Senza chiederci se saremo capaci di farlo.
Perché già lo stiamo facendo.

giovedì 24 settembre 2009

C'era una volta un principe giallo...



Oggi è successa una cosa un po’ strana, che mi ha fatto riflettere.
Sì, ci ho riflettuto mentre mi cambiavo, mentre tornavo a casa, mentre aprivo il portone e poi la porta di casa.
Mentre accendevo la luce e mentre posavo la borsa.
Mentre tutto il mondo era impegnato nella propria quotidianità.
Mentre.

Allegra: Vuoi colorare un disegno?

Bambina: Sì…me lo dai?

Allegra: Certo…guarda un po’ cosa ti faccio vedere…ci sono le principesse, c’è la sirenetta, Biancaneve…dimmi quale vuoi…

Bambina: Mi dai Cenerentola?

Allegra: Eccola qui…

Bambina: Sì…ma come la coloro?

Allegra: Come vuoi colorarla?

Bambina: Non lo so…forse rosa?

Allegra: Rosa!

La bambina mi guarda…

Allegra: Vuoi cambiare colore?

Bambina: No…ma il principe come lo faccio?

Allegra: Beh…lo facciamo azzurro?

Bambina: No azzurro no…il principe azzurro non esiste me lo dice sempre la mia mamma.

Istintivamente guardo la mamma seduta poco distante. Sulle sue labbra si disegna un triste sorriso.


Allegra: E allora io direi di farlo giallo, che dici?

Bambina: Sì giallo mi piace. Cenerentola azzurra e il principe giallo!

Mentre tutto il mondo è immerso nella propria quotidianità, io continuo a pensare.

“Il principe azzurro non esiste me lo dice sempre la mia mamma”.

Quando a volte mi capita di pensare alla mia infanzia, mi vengono in mente le fiabe che adoravo tanto guardare e leggere, quelle in cui la principessa veniva salvata dal suo principe azzurro con il cavallo bianco.
Non m’importava del dopo…ero contenta semplicemente perché loro “sarebbero vissuti felici e contenti”.
Ero contenta di guardare il mondo che era contento.
Ero contenta di sapere che due persone erano felici e contente.
Ero contenta di crederci.
E la mia mamma era contenta di vedermi contenta.
Poi si cresce e si imparano tante cose…ma questa è un’altra storia.
Perché quella bambina non ha voluto colorare il principe con l’azzurro?
Perché non può credere che esiste il principe azzurro?
Nella mia mente gli occhi della bambina s’incrociano con il sorriso triste della mamma.
E con la mancanza di un padre. E di un marito.
Accendo la TV. C’è il telegiornale.
A Bologna una madre uccide i suoi due figli, di sei e cinque anni. E poi si toglie la vita.
“Era depressa perché il marito l’aveva lasciata. Aveva 34 anni”.
Spengo il televisore e ripenso al principe colorato di giallo appeso ad una parete bianca.
Ripenso alle favole e al bisogno di crederci o non crederci ancora.
Ripenso al mondo, all’amore, ai principi azzurri e gialli.
Ripenso a tutto ciò che accade nella nostra quotidianità e mi chiedo quale sia la risposta giusta per tutto.
Se un giorno avrò una figlia e lei mi chiedesse di raccontarle una favola…perché non dovrei raccontarle che può esistere un principe azzurro?
Perché non dovrei sperare per lei un futuro migliore?
Perché non dovremmo credere senza falsificare la realtà?
Avrei voluto dire qualcosa a quella mamma oggi.
Ma non l’ho fatto…perché dovevo stare nel mio ruolo.
Non conosco la sua storia.
Ma conosco quegli occhi e quel sorriso.
E soprattutto la mano di quella bambina che colorava un principe di giallo.
Il colore del sole, della luce, della speranza, dell’allegria.
Non abbiamo bisogno di inventarci la realtà, ma spesso la fantasia e la speranza hanno bisogno di incontrarsi come due linee curve che formano un cerchio perfetto.
Le fiabe sono importanti. Tanto quanto la realtà.
Basta saperle equilibrare…soprattutto con i bambini.
Perché loro non c’entrano niente con le nostre sofferenze, con i nostri sbagli e con gli sbagli di un principe giallo.
Le fiabe sono importanti per immedesimarsi, per confrontarsi con la ‘cattiveria’, e anche per credere (e sperare) che nella vita possa esistere il lieto fine.Attraverso l’identificazione con l’eroe della fiaba, ci viene trasmessa la speranza che i problemi siano risolvibili, che esista sempre la possibilità di un cambiamento e che “il prossimo” esista, per salvarci.La fiaba ci infonde quel coraggio di cui abbiamo bisogno per non restare ancorati al passato e andare incontro ad un futuro pieno di speranza e allegria.
Il posto delle favole
Le favole dove stanno?
Ce n’è una in ogni cosa:nel legno, nel tavolino,nel bicchiere, nella rosa...
La favola sta lì dentro da tanto tempo, e non parla:è una bella addormentata e bisogna svegliarla..Ma se un principe, o un poeta,a baciarla non verrà
Invano la sua favola aspetterà.
Gianni Rodari

Perché dovremmo smettere di crederci?

martedì 22 settembre 2009

Ricordati di non dimenticare...


Negli ospedali pediatrici i bambini non sono solo corpi da curare.
Sono anche anime e sorrisi da coccolare.
Non dimentichiamolo mai...e questo sabato, non dimentichiamo di uscire di casa, di raggiungere la piazza più vicina e di offrire il nostro contributo per sostenere l'ABIO (Associazione per il Bambino in Ospedale).
Non è pubblicità, ma solo un consiglio...perchè chi aiuta un bambino, aiuta un pezzo di cielo a salvare sè stesso.


domenica 20 settembre 2009

Scrivere...scrivere...scrivere...

"Tutte le persone che sono passate o passeranno nella nostra vita sono importanti per la nostra crescita, perché tutte indistintamente ci lasciano qualcosa.Non importa, se quello che raggiunge la nostra mente e il nostro cuore non è sempre di nostro gradimento, la cosa veramente importante, sarà tutto quanto noi riusciremo a trarre dal loro passaggio. Ogni loro parola, ogni loro gesto, tornerà utile per comprendere e imparare qualcosa di nuovo.Impariamo ad ascoltare, impariamo a guardare, impariamo a sentire e in ognuna di quelle persone, troveremo una parte di noi, una parte che forse non riteniamo nostra, ma che è lì ad insegnarci tutto quello che non vorremmo mai essere o diventare in futuro.Gli eventi, gli incontri e tutto quanto si muove intorno a noi non avviene mai a caso, c’è sempre una ragione, magari non facile da accettare, oppure troppo bella per non essere presa al volo, ma questo non cambia lo stato delle cose e lo scopriremo se impareremo a pensare alle ragioni che possono aver mosso tali evenienze.Per questo motivo voglio ringraziare tutte le persone che hanno avuto anche solo una piccola parte nella mia esistenza e dalle quali ho avuto l’opportunità di imparare molto."
Rossella Pirovano, “Ho chiesto perdono a mio figlio”


Sono sempre stata convinta che la vita non si scrive mai da soli, che le persone che incontriamo nel nostro cammino lasciano spesso un segno dal quale continuare ad andare avanti.
Ci pensavo proprio stamattina mentre preparavo un progetto per un seminario di scrittura espressiva autobiografica che terrò nei prossimi mesi con alcuni ragazzi.
E’ così che mi è venuta in mente l’idea di proporre anche a voi due esercizi che fanno parte del progetto, legati in particolare al ruolo che alcune persone importanti hanno avuto o hanno nella nostra vita.
Vi basta poco: quarantacinque minuti di tempo, una penna, un quadernino ( oppure dei fogli), un po’ di solitudine e voglia di scoprirsi dentro.


▪ Primo esercizio – RITRATTI ( di Chiara Ferroni)

Quante volte abbiamo conosciuto personaggi che sono rimasti nella nostra mente, o perché hanno fatto parte integrante della nostra vita, o perché in qualche modo hanno colpito i nostri occhi, il nostro cuore, il nostro immaginario… in questo esercizio si chiede ai partecipanti, in 25 minuti, di “ritrarre” tre personaggi incontrati durante il cammino della propria vita. Alcuni esempi di personaggi possono essere: mio padre, il negoziante sotto casa, il mio allenatore, il compagno di banco, il mio professore e così via… All’interno di questo ritratto, si dovrà cercare di far capire cosa ha lasciato nella vita di chi scrive quel personaggio.


▪ Secondo esercizio – SE TU SCRIVESSI A ME… ( di Carmen Garofalo)

Riprendendo le fila dell’esercizio precedente, si chiede di scegliere uno dei tre ritratti di persone significative della propria vita e di immaginare che questa persona scriva a noi una lettera.
Immedesimarsi in una persona che ha significativamente segnato la propria vita, vuol dire entrarvi in sintonia attraverso ciò che ci lega a lei.
Quando il rapporto tra due persone è vero ed autentico, anche nelle più sottili pieghe dei nostri giorni, è la verità di ciò che si pensa e di ciò che si è fatto che fa da cornice al legame.
Una lettera scritta a mano è il luogo in cui le emozioni, le sensazioni, i sentimenti prendono la forma di parole che nascono dal movimento della propria penna poggiata sul foglio.
E’ in questo movimento che si rendono vivi i ricordi e le speranze: cosa penso mi voglia scrivere quella persona che ha tanto significato per me e per la mia vita? Cosa penso che pensi di me? Cosa penso che speri per me? Cosa vorrei che mi scrivesse?
Durata: 20 minuti.


A volte basta poco per conoscersi un po’ meglio…basta poco per ritagliarsi un po’ di tempo nelle frenetiche giornate, e pensare profondamente a sè stessi e a ciò che circonda la propria vita.
Non dimentichiamo di che pasta siamo fatti.
Non siamo solo corpo che ha bisogno di respirare, lavorare e mangiare.
Siamo anche anima che ha bisogno di guardarsi dentro.

“Le mie trame divennero complicate, cominciavo
a scoprirmi.
Sono nato dalla scrittura.
Scrivendo esistevo”

Jean-Paul Sartre

SCRIVETE…SCRIVETE…SCRIVETE…